Mindat e le donne dal viso tatuato

La Birmania è un Paese che ancora oggi conserva antiche usanze risalenti a tradizioni di epoche lontane e, grazie al calore e ai sorrisi della gente, entra velocemente nel cuore di chi lo visita. Le città brulicanti, i piccoli villaggi, i mercati pieni di oggetti e alimenti strani (a volte impossibili da identificare), le strade sabbiose color rosso, i monasteri, i monaci gentili, le pagode sfarzose, sono così unici proprio grazie al popolo birmano, gente cordiale e generosa. Sono loro che hanno reso il mio viaggio in questa terra incredibilmente magico.

In questo racconto voglio parlarvi di Mindat, un piccolo villaggio di montagna nello stato Chin, uno stato che non si raggiunge facilmente. Sette ore di strada sterrata lo collegano alla più conosciuta Bagan

Mindat è un villaggio che sembra essersi fermato nel tempo, la gente vive le giornate scandite dal lento ritmo asiatico, i tramonti sono spettacolari ed è ancora possibile incontrare le “ultime” donne Chin con il viso tatuato, sedersi con loro e farsi raccontare (nei limiti che l’assenza di una lingua ponte impone) gli aneddoti legati ai loro tatuaggi. Sono proprio loro che negli ultimi anni hanno attirato fotografi e giornalisti affascinati dalla loro storia e desiderosi di raccontare una tradizione destinata a scomparire. Nel 1960 infatti, la pratica dei tatuaggi facciali venne bandita dal governo socialista che per inaugurare la “modernità” ha deciso di eliminare tradizioni e rituali considerati “arretrati e barbarici”. Al giorno d’oggi infatti le donne che si possono incontrare con il viso tatuato sono per lo più signore di una certa età appartenenti ad uno dei gruppi etnici che praticavano questo rito.

I gruppi etnici nello stato del Chin sono 6 e ad ognuno di loro corrisponde uno specifico disegno: le donne Mk’aan (nella foto)hanno tatuaggo lineari tu tutto il viso, le donne M’uun tatuaggi a forma di “P” sulla guance, di “Y” sul mento e lineari sul resto del volto. I Yin Du presentano invece linee verticali come i Nga Yah che però oltre alle linee presentano anche puntini. Il volto delle donne della tribù Uppriu, tra le più difficili da incontrare, è interamente ricoperto da puntini.

I tatuaggi venivano realizzati iniettando nella pelle con una spina affilata una miscela formata da foglie, fuliggine e germogli. Le foglie servivano per dare il colore, la fuliggine per disinfettare e i germogli di erba come bendaggio naturale curativo.

Parlando con gli abitanti del villaggio mi viene raccontato che le origini di questa pratica risalgono a un epoca ormai lontana, quando il re si recava a Mindat per rapire le ragazze più belle e farle sue spose. Per questo motivole famiglie iniziarono a tatuare i visi delle ragazze in età giovanissima, per renderle ‘meno attraenti’ ed evitare così che venissero rapite. Con il tempo questa dolorosa pratica tribale divenne parte dell’identità Chin e i tatuaggi sul viso vennero considerati vero e proprio elemento di bellezza. Un’altra spiegazione plausibile potrebbe essere quella religiosa: durante la colonizzazione britannica, molti Chin si convertirono al cristianesimo mantenendo o meno le loro credenze animiste. Alcuni Chin ricordano come i loro pastori gli fecero credere che solamente coloro chi era tatuato veniva considerato idoneo per il paradiso. 

Tra le signore che ho avuto la fortuna di conoscere, c’erano anche due amiche che si conoscevano da sempre, rispettivamente di 87 e 93 anni. Parlavano nel loro dialetto ma grazie all’aiuto di un ragazzo che parlava anche l’inglese, ho potuto apprendere qualcosa in più della loro storia. Entrambe sono state tatuate quando erano molto giovani, contro la loro volontà. Il loro viso è completamente ricoperto dai tatuaggi che lasciano spazio ad occhi vispi ed espressivi. Incontrarle è stato una vera emozione.

Sono rimasta a Mindat poco più di una settimana e al momento della mia partenza un piccolo nodo mi si è stretto alla gola. La gente lì è amichevole e curiosa, tutti ti sorridono e molti cercano un contatto. Vale veramente la pena farsi questo lungo viaggio, arrivare fin qui e scollegare la testa dal resto del mondo. A Mindat non c’è internet, non ci sono ristoranti turistici, i bambini giocano per strada, le macchine sono poche e si vive alla giornata. La gente di questo villaggio non conosce i comfort ai quali siamo abituati noi, la vita è molto più dura ma la gente trova sempre un buon motivo per sorridere e, inevitabilmente, ti contagia con la sua allegria.

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